Tra due donne forti e insidiose deve
industriarsi il commissario Montalbano:
una estroversa, e di franca sensualità;
l'altra segreta, e di morbosi ardori,
capace di tutto intraprendere e di tutto
nascondere. Si sgambettano a vicenda,
le due donne, su scivolosi precedenti:
che sono esche e trappole per il
commissario ("Quann'era picciliddro, una
volta so patre, per babbiarlo, gli aveva
contato che la luna 'n cielu era fatta di
carta. E lui, che aviva sempre fiducia in
quello che il patre gli diciva, ci aviva
criduto. E ora, maturo, sperto, omo di
ciriveddro e d'intuito, aviva nuovamente
criduto come un picciliddro a dù
fìmmine..., che gli avivano contato che la
luna era fatta di carta"). La verità non
procura rimedio. Se non è vittoria è
purtroppo vendetta. Rovinosa e tragica.
Secca e asciutta, nell'orrore: "la
tragedia, quann'è recitata davanti alle
pirsone, assume pose e parla alto, ma
quanno è profondamente vera parla a
voce vascia e ha gesti umili. Già,
l'umiltà della tragedia". Il commissario
interloquisce con l'incipiente vecchiaia.
Ricalibra le sue negligenze. Escogita
ripari alla ruggine degli anni. Impara a
convivere con l'ossessione della morte
(un orologio biologico che batte l'ora
grave) e da udienza a passi ciechi che
conducono al mistero di una casa "morta"
(alla Faulkner): nella quale, attorno a
un cadavere oscenamente atteggiato, si
impaludano e covano le acque putride di
passioni irritabili e scenografiche;
insieme al fondiglio di un'oscenita
politica, che lascia emergere cadaveri
eccellenti e prospere viziosità.